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domenica 5 maggio 2013

War Pigs

di Roberto Scudeletti



Avevo diciassette anni nel 1965 e vivevo in una fattoria nel sud degli Stati Uniti, dove mio padre possedeva un grande allevamento di maiali. Mia madre era una porca.

Una sera mentre il cornuto si era addormentato sul divano della cucina, ubriaco, lei s’infilò nel mio letto. Iniziò a strofinarsi contro di me, incredulo e perciò immobile. La sua mano s’inoltrò sotto i pantaloni del pigiama, in cerca di una dura risposta. L’unica cosa che si alzò fu il mio intero corpo, finalmente colpito da una scarica di adrenalina scioccante; fu l’ultima volta che la vidi.

Mi nascosi nella mansarda, dietro una pila di scatoloni di cianfrusaglie. Attesi di udire la porta della camera matrimoniale sbattere lievemente e ritornai nella mia. La notte stentò a tramutarsi in mattino, riuscii anche a sentire il passo strascicato del babbo sulla scala; solo verso l’alba di quell’estate maledetta mi addormentai.


La colazione fu silenziosa. <<Dov’è la mamma?>> chiesi, alla fine. <<E’ uscita presto con l’auto, sarà andata in città>> furono le uniche parole. Le vacanze da scuola per me consistevano nel dare una mano con i maiali, i compiti erano relegati dopo il tramonto, gli amici solo il sabato sera, se non lo facevo incazzare, altrimenti giù botte.

Rientrai a casa all’ora di pranzo per bere l’acqua ghiacciata dalla bottiglia in frigo, ma di lei ancora nessuna traccia, a partire dal parcheggio deserto. Ritornai nell’allevamento alla ricerca di mio padre per avvertirlo; per la prima volta lo vidi con un’ombra di preoccupazione sul viso.

<<Ieri sera avete litigato?>> mi domandò. Sorrisi scrollando la testa; sapeva che ci amavamo, anche se nessuno di noi due avrebbe potuto immaginare fino a che punto.

Verso sera squillò il telefono. Andò lui e una lacrima rispose al mio sguardo interrogativo. Al funerale di mia madre entrambi non riuscivamo a smettere di piangere. “Si è suicidata per colpa mia?” mi chiesi, stupidamente. Decisi di mantenere il segreto dentro di me.



Cinque anni dopo mi ritrovai ancora vergine ad affrontare le occhiate curiose e maliziose delle ragazze, quando andavo in paese a far provviste. Per non pensarci mi rifugiavo nel lavoro e, la sera, consumavo sul giradischi album di rock duro con le cuffie incollate alle orecchie.

Non avevo mai praticato l’autoerotismo; il sesso era rimasto materia congelata, dopo quella tragica sera. Un giorno il destino decise di cambiare tutto.

<<Ciao Paul, come stai? Sono Lucy, andavamo insieme a scuola, ricordi?>> squillò una voce femminile alle mie spalle mentre caricavo di viveri il pianale del furgone. Girandomi vidi un volto lentigginoso, con occhi azzurri, capelli biondi e una mano tesa verso di me. Gliela strinsi in maniera molliccia, sussurrando un impacciato “Beh no” che rilevò la mia timidezza. Lei invece fu molto intraprendente. <<Ho voglia… di vedere dove vivi>> mi propose, dopo poche chiacchiere mentre terminavo il lavoro. <<Mi fermo a una cabina, così avverti i tuoi?>> le chiesi io, mentre eravamo già partiti. <<Non serve, ho già detto che dormo da un’amica fidata. E lei non sa, dove vado… e se torno stanotte, ma mi copre sempre>> m’informò, maliziosamente.

Parcheggiai vicino al magazzino, lei scese guardandosi attorno, mentre Jack, l’aiutante nero della fattoria, iniziava a scaricare la roba dal furgone portandola al magazzino.

La visita ci portò velocemente al tramonto e una brezza gelida spinse i nostri corpi a rifugiarsi nella cucina riscaldata da una grande stufa a legna, accesa da mio padre. Una pignatta sul fuoco stava cucinando la minestra di verdure del nostro orto per la cena. La tavola era già apparecchiata per quattro.

Jack lavò velocemente i piatti e si ritirò subito nella casupola tra la nostra casa e la stalla dei maiali. Io presi per mano Lucy. <<Buonanotte>> si rivolse a mio padre che aveva preso possesso del divano del salotto e della solita bottiglia di whiskey, sua compagna abituale per gran parte della notte. Un grugnito, molto simile a quello di un suino, fu la risposta. <<Deformazione professionale>> le sussurrai sulle scale, facendole uscire un risolino soffocato da una mano sulla bocca.

Arrivammo al piano di sopra. <<Questa è la camera degli ospiti>> le dissi aprendo una porta. <<E questa è la mia>> aggiunsi subito dopo, con un tono quasi indifferente, neutro, mentre dentro di me tra cuore e nervi si era stabilito un collegamento elettrico capace di far girare la metropolitana di New York, anche se non ci ero mai stato in vita mia.

Mi gettò sul letto incominciando a spogliarmi, partendo dai pantaloni. Stava anche parlandomi, ma non sentivo nulla, perché dalle nebbie del passato ritornò fulmineo e violento, come un pugno nello stomaco, il ricordo di mia madre. <<… tua madre…>> sentii dirle. “Che mi legga nel pensiero?” fu la mia reazione immediata.

La guardai, mentre maneggiava il mio pene, flaccido come un lombrico e incapace di soddisfare qualsiasi femmina. <<… so tutto di te e tua madre, lei scappò e si rifugiò a casa nostra, ma si confidò solo con me, prima di farla finita. E ora capisco il danno che ti ha fatto. Mio povero, caro Paul>>.

E mi abbracciò con le sue lacrime che mi bagnavano il collo. Io rimasi impietrito. Ma non per molto. Tutto l’odio che nutrivo per mia madre, per quello che aveva tentato di fare, per quello che mi aveva provocato, per avermi lasciato da solo ad affrontarlo, tutto ciò esplose dentro di me.

Le donne per me erano diventate un nemico da punire, tutte, a iniziare da questa maledetta pettegola che conosceva il mio segreto. Afferrai la troia per le spalle e mi alzai spostando entrambe le mani sul suo collo, stringendo sino a farla svenire. Non doveva morire, non subito. Voleva un bel cazzo? Lo avrebbe avuto, anche se non il mio.

Svegliai Jack e lo condussi senza spiegazioni nella stalla dei maiali, illuminata da tenui neon dalla luce blu. Vide subito la donna inanimata, supina su un telone di plastica e mi rivolse uno sguardo interrogativo.

<<Ogni settimana nel giorno libero te ne vai a puttane in città, vero o no?>> gli dissi con un tono diverso, maligno e disinvolto. <<Sì, capo>> rispose mostrando i suoi denti bianchissimi in un sorriso voglioso. <<Questa volta te ne ho portata una a domicilio. Una gran troia che vuole il tuo cazzone nero>> gli spiegai, battendogli una mano sulla spalla massiccia.

<<Ma era a cena con lei, pensavo fosse la sua ragazza…>>. Un ceffone scalfì appena la sua postura da atleta, mentre mi trattenevo dall’urlare. Dissi invece con voce piatta: <<Da oggi le ragazze m’interessano solo per punirle perché sono tutte grandi troie fottute e tu sarai il mio boia. In cambio prima te le farò scopare, poi le taglieremo a pezzi e le getteremo in pasto ai maiali. Sono stato chiaro?>>.

Avevo salvato Jack dal carcere duro e dalle violenze degli altri detenuti, garantendogli un solido alibi in un caso di stupro e omicidio di una studentessa universitaria, tre anni prima. Non potevamo permetterci di perderlo, anche se non ero sicuro che fosse innocente. Allora sentivo che in futuro avrei potuto chiedergli in cambio di buttarsi nelle fiamme dell’inferno per me. E quel momento era giunto.

Senza aggiungere una parola si spogliò completamente nudo, mentre io con piccoli schiaffetti svegliai Lucy per il suo ultimo viaggio. Aprì gli occhi e quando si accorse di essere sormontata da un enorme fallo eretto, che evidentemente dal basso pareva ancora più grosso, tentò di urlare e di muoversi. I polsi erano legati ben stretti dietro la schiena, lo stesso le caviglie e sulla bocca un bavaglio le impediva di emettere suono, lasciando libere solo le narici per respirare.

Jack era sempre più arrapato. Scopare una troia a pagamento era un conto, violentare una ragazza ribelle era un altro. “Le donne sono tutte zoccole, però anche gli uomini quando ci si mettono sono peggio dei miei maiali” pensai in quel momento.

Al primo affondo lei tentò ancora di opporsi, ma dopo le successive spinte impetuose dentro il suo sesso fu come fosse già morta, un cadavere che freddamente accettava la sua sorte, inesorabile.

Jack invece ci prese gusto e le sbottonò la camicetta, rivelando due seni sodi e grandi che si divertì a premere, schiacciare, palpare, mentre si alzava e abbassava tra le sue cosce. Iniziò a fare quello che fanno gli infanti e gli uomini libidinosi, succhiandole i capezzoli sino a farli ergere, come mammelle di vacca. Solamente che il latte uscì invece dal suo orgasmo spargendosi su tutto il corpo della femmina tramortita, come la schiuma di una cascata in piena.

Si rivestì mentre io tolsi il bavaglio dalla bocca di Lucy per udire la risposta al mio esecrante “Ti è piaciuto puttana?”. Che non poteva arrivare alle mie orecchie, perché non m’interessava e soprattutto perché le stavo stringendo al collo una corda spessa; lo schiocco di carotide e trachea interruppe il sadico gioco.

Nella sala di macellazione avevamo tutta l’attrezzatura necessaria e così la gettammo a pezzi in pasto ai maiali adulti che la divorarono tutta, ossa comprese; sarebbe diventata un salume pure lei, seppure indirettamente. Fu la prima di una lunga serie.

<<Perché lo fai, capo?>> mi chiese Jack dandomi oramai del tu, una volta che stavamo tagliando a pezzetti una ballerina di lap dance. La sapevo sola al mondo e perciò l’avevo rimorchiata con la scusa di un extra in dollaroni fruscianti.

In cambio del suo silenzio e della collaborazione ero io ora a offrirgli la chiavata settimanale e lui mi sostituiva nell’opera preliminare di violenza prima della punizione finale. Non volevo svelare a nessuno il segreto di mia madre, solo mio padre sospettava che potessi entrarci io, ma senza mai arrivare neppure a sognare fino a che punto.

<<Fatti i cazzi tuoi che stavolta l’hai pure sodomizzata, non ti basta?>>. In fondo mi era rimasto un po’ di animo gentile; infatti le avevo unto il buchetto con un unguento da noi prodotto, a base di grasso di porco. Purtroppo l’enorme attrezzo glielo aveva fatto sanguinare ugualmente.

Una mattina verso le undici presi il furgone e mi recai in città per fare un giro al negozio di dischi. Il proprietario non c’era. Al suo posto una ragazza mi salutò con un sorriso dalla dentatura perfetta: <<Buon giorno, benvenuto. Sono Sally, la figlia di Tom. Purtroppo lui è a letto con una brutta tosse e mi ha chiesto di sostituirlo>>.

Non mi ricordavo di averla mai vista prima. Le tesi la mano, osservandola. <<Piacere, mi chiamo Paul>>. Lei stinse la mia dal bancone, rivelando un fisico snello con curve giuste al posto giusto. “Piacerebbe a Jack” pensai subito.

Mi avviai nel reparto heavy metal e iniziai a sfogliare i trentatré giri negli scaffali. <<E’ arrivato il secondo album dei Black Sabbath direttamente dall’Inghilterra, li conosci?>> mi chiese lei da dietro, quasi spaventandomi. <<Sono tra i miei gruppi preferiti>> le risposi infastidito. <<Vieni che ti faccio sentire una canzone>> mi sorprese, portandomi al giradischi vicino alla cassa.

Le note di War Pigs e la voce di Ozzy mi rapirono, facendomi estraniare dal luogo in cui mi trovavo; mi pareva di essere sotto l’effetto di uno degli spinelli che ogni tanto Jack ed io ci sparavamo quando il mio vecchio ronfava sbronzo.

Uscii con l'album in mano, riconoscente alla figlia di Tom e alla sua malattia. “Cazzo è da tanto tempo che non pensavo bene di una troia di femmina” pensai guidando verso la fattoria. Non vedevo l’ora che venisse sera per ascoltare tutto l’album “Paranoid”.

Passarono i mesi e la febbre di Tom si rivelò qualcosa di peggio, che gli fece raggiungere gli angeli in cielo o i demoni all’inferno, a discrezione del padreterno.

La figlia gli subentrò trascurando per un po’ gli studi universitari, mentre stava formando una commessa a sua immagine e somiglianza, cioè una vera intenditrice di musica, in tutti i generi possibili, con una particolare attenzione per i dischi d’importazione.

Il negozio divenne così un punto di riferimento per i giovani della zona; incominciai a considerarlo un appuntamento fisso come minimo settimanale. Mi deliziavo con una lunga chiacchierata, per quanto possibile, sulle ultime novità. E Sally la trovavo, stranamente, piacevole.

Una di quelle volte, senza sapere come e perché, la invitai fuori per un panino e una birra. Lei accettò immediatamente, come se non aspettasse altro. Bevve una coca ma ci diede dentro con salciccia, uova, salse varie e latte; del resto era talmente in forma che poteva permetterselo. <<Qual è il tuo disco preferito, allora?>> mi chiese tra un boccone e l’altro. Io sapevo che il suo era l’ultimo dei Led Zeppelin, un'altra band di oltre oceano che stava spopolando anche qui con concerti dal vivo sempre esauriti. <<Paranoid dei Black Sabbath, il nostro primo disco>> le sparai, spontaneamente. Lei mi prese le mani tra le sue, dolcemente, dicendomi: <<Che romantico…>>.

Fu un inizio così soave che proseguì tra timidi baci e abbracci, senza mai sconfinare nel sesso. Sesso che invece Jack proseguiva a esercitare sia fuori sia dentro la fattoria. Ogni tanto una nuova vittima forniva cibo umano ai miei suini che avevo ribattezzato War Pigs, maiali da combattimento, feroci e onnivori animali divoratori, in onore della mia canzone favorita.

Il giorno del suo compleanno Sally lasciò da sola la commessa nel negozio e venne a trovarmi, per la prima volta, alla fattoria, tra i soliti grugniti di mio padre e l’apparente indifferenza di Jack.

Dopo pranzo stavamo seduti sul dondolo nel portico. <<Tra poco parto e vado in città, ma poi torno>> le dissi. <<Spero bene, stasera festeggiamo il mio compleanno! Tra poco mi metto a fare la torta. Che cosa vai a fare?>>. Risi di gusto, per la prima volta dopo tanto tempo. <<Sorpresa!>> le dissi. Volevo andare al suo negozio per regalarle il doppio dal vivo dei Led Zeppelin, ma poi pensai che fosse un’idea ridicola e preferii un profumo alle rose, dolce come lei.

Tornai che era buio, in un gelido tardo pomeriggio d’inverno, con i fanali accesi a illuminare l’aia scura. Scesi e trovai mio padre solo. <<Dov’è Jack?>> gli chiesi. <<L’ho visto uscire da casa>> rispose senza guardarmi in faccia.

Spalancai la porta d’ingresso e trovai cucina e salotto vuoti. Lo stesso al piano di sopra. Corsi di sotto e trovai la torta che stava cuocendo in forno. “Dove cazzo sono quei due?”.

Tra la casupola, il magazzino e la stalla degli “war pigs” scelsi quest’ultima. Aprendo la porta udii un gemito leggero. La scena che stavo guardando mi paralizzò.

<<Ciao, capo te l’ho fatta trovare pronta, contento?>> chiese Jack col suo solito sorriso lucente. Per fortuna indossava ancora i pantaloni.

<<Che cosa ti salta in testa minchione?>> urlai senza ritegno.
Lo sguardo del gigante d’ebano si fece serio, dubbioso e poi cattivo.

Gli occhi emanavano spirito di ribellione. “Siamo nei guai, amore” pensai voltandomi verso di lei, imbavagliata, legata e, bastardo, nuda e pronta all’uso.

Lui si toccò il pacco gonfio con la sua manona e sorrise. <<Pensavo che fosse come tutte le altre, capo, una troietta per me da scopare e per te da massacrare. Non mi dire che questa è la tua fidanzata?>>.
Era la frase più lunga che gli avessi mai sentito pronunciare e con un tono che sapeva di presa per il culo, mentre sino a poco prima avevo creduto che fosse veramente una sua incomprensione. No, cazzo, lui aveva capito che lei era importante per me e che poteva rovinare il nostro giochetto, per sempre. Il suo atto era di difesa.

<<Aspettami qua, non fare un passo>> gli ordinai.

“Povero coglione” pensai, mentre mi recavo a casa nello studio dove tenevamo sottochiave l’armadio blindato delle armi. Tornai con il fucile carico e lo trovai che stava leccando il collo all’unica donna che non mi aveva deluso.

<<Alzati Jack!>> gli intimai e appena obbedì gli sparai alla schiena facendolo roteare su stesso e precipitare a terra, in un lago di sangue. Questa volta fu lui a fare la fine delle sue vittime.

La mattina dopo mentii a mio padre dicendogli che lo avevo licenziato perché sorpreso a rubare a casa nostra, senza specificare altro. Lui, senza fare domande, scosse la testa replicando: <<Trovane un altro al più presto, che da soli non ce la facciamo a mandare avanti la baracca>> e se ne andò al lavoro sui campi. Non sapevo se l’aveva bevuta; a me andava bene così.

Ero stanco morto per la nottata passata a disfarmi del cadavere di Jack, naturalmente dato in pasto ai miei maiali da guerra, e a pulire i segni della sparatoria nella stalla. Decisi di tornare a letto.

Aprii la porta e trovai Sally che mi guardava seria dal letto. Dormimmo abbracciati. Le avevo confessato tutto come un fiume in piena che ha rotto gli argini, compreso il mio amore per lei; avevo ottenuto il suo perdono e la sua complicità.

Ci svegliammo poco prima di mezzogiorno. Stavo per scendere in vista del ritorno del mio genitore, ma lei mi fermò, decisa. Salì a cavalcioni sopra di me e puntò quegli occhi verde smeraldo nei miei dicendo: <<Anch’io ti amo>>.

Un brivido caldo partì dal mio volto e per la prima volta percorse tutto il mio corpo sino a raggiungere la parte più impensata. Lei se ne accorse e mi baciò prima sulle labbra e poi incominciò a scendere, veloce. Raggiunse il mio ombelico e scese ancora, baciando con la punta della lingua umida i miei interno coscia, causandomi un ulteriore ondata di calda eccitazione.

Con la testa si spostò al centro e abbassò la bocca verso il mio cazzo che, miracolosamente, rispose a tutti i suoi stimoli erotici ergendosi a vita nuova.

Feci l’amore per la prima volta. E non fu una delusione, tutt’altro. Anche il suo sesso era eccitato, bagnato e accogliente, senza bisogno di alcuna forzatura o guida.

L’incastro fu immediato e i nostri due corpi si fusero in uno, accoppiando il ritmo che da lento divenne frenetico, senza freni e ostacoli, verso una corsa all’orgasmo che giunse inaspettato, almeno per me, come una liberazione attesa per tutti quegli anni.

Il ricordo del lieto fine di questa sporca storia sta ora funzionando da consolazione, da calmante, in attesa che i miei carnefici arrivino tra pochi minuti. Mi condurranno nella stanza per l’iniezione letale cui sono stato condannato, dopo anni di carcere nel braccio della morte di questa prigione federale. 


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